Tutti abbiamo visto dei gamahés: sono quelle forme, come facce, forme, animali o simboli che si intravvedono nelle pietre, nelle nuvole, nelle cortecce, nei materiali naturali in genere, ed ovunque si possa spingere l'osservazione e l'immaginazione umana. Tale fenomeno va ascritto a quel genere di fenomeni denominato "pareidolia", anche se il significato di gamahés sottintende un aspetto spirituale, sacrale e profondo di queste figure.
Secondo vari studiosi di arte rupestre, i primi autori di graffiti nelle caverne nel dipingere gli animali spesso sfruttavano le forme naturali presenti nella pietra.
In epoca romana Plinio riporta come il re Pirro avrebbe posseduto una pietra, la famosa "agata di Pirro", in cui per capriccio della natura erano disegnate le nove Muse che attorniavano il dio Apollo dotato di lira.
Anche in Cina le pietre dalle forme strane sono sempre state tenute in grande considerazione. Ne era un amante e appassionato collezionista il poeta, pittore e calligrafo Mi Fei (1051–1107), conosciuto anche con il nome di Mi Fu. Personaggio famoso per la sua eccentricità, questi usava inchinarsi davanti ai suoi esemplari preferiti, chiamandoli "fratelli maggiori". In molti testi è citato il suo "Calamaio-Montagna", pietra forata che era in grado, quando la osservava, di indurgli stati mistici.
Fin dal Medioevo le "pietre figurate" sono designate con il nome "gamahé".
Jacques Gaffarel (1601-1681) fu docente di teologia all’università di Valence.
Ebraista e cabalista, nonché bibliotecario di Richelieu, nel libro "Curiosités inouies" (curiosità inaudite) del 1629 studia gli alfabeti e i linguaggi terrestri e celesti, ed elabora una sua teoria, sostenendo - in qualità di teologo - come l'uso dei talismani, come sono appunto i gamahés, non sia da considerare idolatria, a patto che non vengano usati insieme a parole magiche. Per queste sue tesi, contrarie allo spirito della Chiesa, fu sottoposto a censura e costretto a ritrattare il suo pensiero.
Il gesuita ed erudito Athanasius Kircher parla di gamahés nell'opera "Mundus subterraneus", risalente al 1664. Le classifica a seconda che rappresentino animali, simboli, uomini, paesaggi, immagini sacre e quant'altro; alcune di queste pietre in realtà erano dei fossili.
Nel 1905 il pittore e scultore francese -Jules-Antoine Lecomte du Noüy (1842 - 1923) nel saggio "L'écriture des pierres" (1905) interpretò in chiave spiritistica le forme che si potevano riscontrare nelle pietre.
Più recentemente il dottor Rodolfo Alessandro Neri, appassionato di alchimia, con la sua opera "Anime nella pietra", getta un ponte tra la scienza alchemica e l'osservazione dei gamahés. Secondo lui queste figure sarebbero un riflesso delle energie dei luoghi (ne riporta alcuni esempi rilevati da lui stesso in chiese e ospedali, sui
Sempre secondo Rodolfo Alessandro Neri la pietra, come appunto il marmo, sarebbe "viva", e i colori e le venature sarebbero in grado di modificarsi lentamente grazie alle "energie" dei vari luoghi. Un affermazione questa, a parere di chi scrive, che difficilmente potrà trovare riscontro scientifico ed obiettivo. Particolare che però non toglie bellezza e fascino all'insieme della sua tesi.
Ovviamente le forme che uno vede sono in relazione con la sua cultura, con il suo stato d'animo, con la sua disponibilità all'osservazione. È chiaro che uno studioso di alchimia tenderà a trovare simboli alchemici dappertutto, mentre un appassionato di cartoni animati giapponesi vedrà più facilmente mostri e robot, un innamorato vedrà cuori e fiori, un adolescente tempestato dagli ormoni vedrà donne nude dappertutto.
da leggere sull'argomento:
Roger Callois, “La scrittura delle pietre” (1970), ed. Marietti, 1986
Rodolfo Alessandro Neri, “Anime nella pietra”, ed. Psiche2, 2009
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